Letters to Juliet

Letters to Juliet

Un po’ perché il cinema mi piace tutto, un po’ perché ero proprio curioso, oggi sono andato al K2 a vedermi “Letters to Juliet” con la Seyfried & Co (vedi scheda da FilmUP, il mio sito di recensioni preferito).


 

Se ricordate, a giugno dello scorso anno Verona fu “disturbata” (io no, anzi mi divertii a visitare assieme ai miei bambini i luoghi delle riprese e il Lungadige con i camion e le strutture di supporto) dal set e dalla confusione che ne derivò. Il film in proiezione oggi (e pure domani) è il risultato del lavoro di quei giorni. Devo dire che concordo sostanzialmente con la critica. Film mieloso ma che non disturba, si lascia guardare e apprezzare per quel che è, basta non entrare in sala (obbligatorio non perdere i titoli di testa) con troppe aspettative sulla sceneggiatura e sulla prova di recitazione (la Redgrave è comunque attrice di razza; brave e simpatiche le “segretarie di Giulietta”; modesta la Seyfried, che apprezzo di più come cantante; a dir poco fastidioso, infine, il doppiaggio di Bernal). Il risultato è comunque “caramelloso”, come riporta il critico, ma pienamente godibile. E quindi me lo sono goduto.

Perché ve ne parlo?
Perché questo lavoro è occasione più unica che rara di guardare alla nostra città con occhi stranieri. Così stranieri che penserete di non averla mai osservata con troppa attenzione. Inquadrature da favola, tutti i dettagli a posto (i lampioni tutti in stile, le targhe a fianco ai monumenti in bronzo lavorato, decine di particolari che incantano), angolini meravigliosi e romantici (il Campidoglio fa sempre la sua figura e pure la cena in Piazzetta Pescheria non manca di fascino), atmosfera sempre un po’ flou con tramonti e albe mozzafiato. Che bella, Verona! Ne sono davvero convinto e, da incallito passeggiatore nasoinsù, riconosco che a ben vedere il regista non deve aver fatto troppa fatica. In particolare però mi hanno colpito: le strade semideserte, sempre (che i protagonisti percorrevano in libertà con una fiammante 500 rossa); il centro invaso da molti passanti in bicicletta (manco fossimo a Ferrara); i nostri amati velocipedi distrattamente e fiduciosamente appoggiati ai muri (magari!); i bambini (di molti colori) che giocano a palla per strada (visti solo al Tocatì).
Praticamente la Verona che vorremmo!

Mi è piaciuta la definizione di location (product) placement: effettivamente si tratta di un biglietto da visita molto ben confezionato e sapientemente proposto al pubblico oltreoceano (quanto avremo sborsato per questo? mah! soldi ben spesi, comunque). Nel film, l’editore della giovane Sophie le consiglia di acquistare molte azioni Alitalia (che sia una marchetta anche questa?) dal momento che un sacco di donne americane vorranno andare a Verona dopo aver letto il libro da lei scritto sulla vicenda d’amore. E probabilmente ha ragione: l’anno prossimo sentiremo l’onda (speriamolo). Certo, se approderanno in riva all’Adige alla ricerca dell’oasi di silenzio e libertà dal traffico che hanno intravisto, i fiduciosi turisti potrebbero restare un po’ delusi…A noi una considerazione: che bisogno ci sarà mai di falsare la realtà addolcendo questi particolari aspetti? Non ci dicevano forse che il massimo della vita è una città piena di strade trafficate e di parcheggi in pieno centro? E allora perché mistificare se è già tutto perfetto? Forse perché il regista è di New York? (vedi qui, qui e qui).Ci confortino queste visioni di futuro e pure il fatto che, almeno nella finzione cinematografica, questo sogno si è comunque realizzato.